In questo articolo voglio parlarvi di una sindrome che colpisce oggi giorno molte persone, circa il 10-20% della popolazione dei paesi industrializzati. Si tratta della sindrome del colon irritabile, nota anche come IBS (Irritable Bowel Syndrome) che ha un forte effetto sulla qualità della vita del paziente. L’eziologia di questa sindrome è ancora poco nota e spesso si tratta di una diagnosi di esclusione.
L’IBS è una patologia funzionale caratterizzata da dolore addominale al quale si associa una varietà di altri sintomi. In particolare, i Criteri di Roma IV definiscono l’IBS come:
“Dolore addominale ricorrente per almeno 1 giorno a settimana negli ultimi tre mesi
associato ad almeno due delle seguenti caratteristiche:
1) dolore correlato alla defecazione;
2) dolore correlato a un’alterazione della frequenza dell’alvo;
3) dolore correlato a un’alterazione della consistenza delle feci.
Tali sintomi devono durare da almeno 6 mesi”.
L’IBS può presentarsi in diverse forme, con alvo prevalentemente stitico, diarroico o alterno.
Eziologia dell’IBS
L’eziologia di questa patologia è ancora indagine di studio. Sembrano giocare un ruolo fondamentale le anomalie intrinseche della muscolatura liscia dell’intestino, l’ipersensibilità viscerale, l’ipervigilanza del sistema nervoso centrale, fattori genetici e psicosociali. Concorrono allo sviluppo di questa patologia anche una serie di meccanismi periferici quali le anomalie del transito colico e dell’evacuazione e la presenza, a livello del lume intestinale, di elementi “irritanti”. La presenza di queste sostanze sembra essere responsabile di un’alterazione della permeabilità intestinale, causando un fenomeno infiammatorio che attiverebbe in maniera alterata la motilità intestinale, con conseguente dolore addominale.
Non meno importante sembrerebbe essere il ruolo del microbiota intestinale. Il microbiota intestinale è l’insieme di tutti quei batteri che normalmente colonizzano il tratto intestinale e contribuiscono alla funzionalità digestiva. Il microbiota intestinale è costituito da varie popolazioni di batteri e un giusto equilibrio di queste popolazioni in termini di numerosità è fondamentale per garantire una corretta funzionalità intestinale. Un’alterazione in termini qualitativi e quantitativi della flora intestinale contribuisce anch’essa alla patogenesi dell’IBS.
Norme alimentari da seguire in caso di IBS
Tutti i pazienti che soffrono di IBS, oltre a seguire un’alimentazione particolare di cui parleremo più avanti, è necessario che seguano delle norme alimentari generali indispensabili per ridurre la sintomatologia. Vanno infatti evitati cibi fritti , soffritti e molto speziati, bisogna masticare bene e senza fretta, eliminare alcol e bevande gassate, bere almeno 2 litri di acqua al giorno e non coricarsi subito dopo aver mangiato. Un consumo eccessivo di grassi può aumentare l’attività motoria intestinale. Esistono anche alcuni tipi di carboidrati che non vengono digeriti e di conseguenza permangono a lungo a livello intestinale, causando la formazione di gas e richiamando acqua; questo causa la distensione delle anse intestinali e la stimolazione del sistema nervoso enterico che si è visto essere ipersensibile nei pazienti con IBS. Tutto questo causa dolore e disturbi addominali. I carboidrati fermentabili sono i cosidetti FODMAPs (Fermentable Olygosaccharides, Dysaccharides, Monosaccharydes and Polyols). Si è visto che i pazienti con IBS traggono giovamento da un’alimentazione povera dei cibi contenenti FODMAPs.
FODMAPs
- Oligosaccaridi: fruttani e galatto-oligosaccaridi. Si trovano naturalmente nel grano e nella segale e nei loro derivati, nei legumi, nei carciofi, nelle noccioline, nella cipolla e nell’aglio. L’uomo non è provvisto degli enzimi necessari per digerirli e quando questi incontrano i batteri della flora intestinale possono fermentare ed essere la causa della produzione di gas, della flatulenza e del dolore addominale che si riscontrano nell’IBS;
- Disaccaridi: lattosio. Il lattosio è uno zucchero che viene normalmente digerito a livello intestinale grazie alla presenza di un’enzima, la lattasi. La presenza di questo enzima in alcuni casi può essere ridotta o a causa di processi infiammatori a carico dell’intestino oppure a causa del proprio background genetico. La carenza di questo enzima causa una mancata digestione di questo zucchero;
- Monosaccaridi: fruttosio. Il fruttosio è uno zucchero presente nella frutta ed è spesso usato come dolcificante in molti preparati industriali. I cibi ricchi di questo zucchero sono: mele, pele, anguria, mango, miele, taccole. Il fruttosio, indipendentemente se viene o meno assorbito, ha un effetto osmotico e richiama acqua a livello intestinale. Questo causa distensione delle anse intestinali e di conseguenza anche gonfiore e dolore. In alcuni casi, se la dose di fruttosio è eccessiva, si possono avere fenomeni di diarrea e di alterazione della motilità intestinale;
- Polioli: mannitolo, sorbitolo. Si ritrovano soprattutto nelle mele, nelle pere, nei cavolfiori, nei funghi, nelle pesche, nelle prugne, nelle mandorle, nelle taccole e nel mango. I polioli sono usati spesso anche come dolcificanti artificiali e hanno un effetto simile a quello descritto per il fruttosio.
Dieta low-FODMAPs
Prima di procedere ad una dieta low-FODMAPs, si inizia solitamente a strutturare un piano dietetico che:
- Limiti l’assunzione delle fibre giornaliere, prediligendo quelle solubili a quelle insolubili;
- limiti l’assunzione dei cibi contenenti amido resistente alla digestione, che è presente in quegli alimenti che vengono cotti più volte;
- limiti il lattosio, in chi ha un deficit dell’enzima lattasi, deputata alla sua digestione;
- limiti l’assunzione di frutta a non più di 3 frutti al giorno.
Nel caso in cui queste accortezze non siano sufficiente a migliorare la sintomatologia, si può procedere con un piano dietetico che preveda l’eliminazione di tutti i cibi ad alto contenuto di FODMAPs sostituendoli con quelli a basso contenuto di queste sostanze. E’ importante che questa dieta sia seguita sotto il controllo di uno specialista, per evitare che l’eliminazione di alcuni alimenti e la mancata sostituzione con equivalenti da un punto di vista nutrizionale, possa causare carenze vitaminiche o minerali. Questa prima fase di eliminazione può durare dalle 3 alle 6 settimane. Successivamente si passa ad una seconda fase, nella quale si reintergrano i FODMAPs. In questa fase, vengono di solito reintrodotti uno alla volta gli alimenti contenenti una determinata classe di FODMAPs. In questo modo si tollera la sensibilità del soggetto non solo al singolo alimento ma all’intera categoria di cui fa parte e inoltre permette anche di testare la quantità che riesce a tollerare di quell’alimento senza avere disturbi intestinali.
Bibliografia
- Schede pratiche sull’alimentazione nelle malattie digestive, 2018 UNIGASTRO – Coordinamento nazionale dei docenti di gastroenterologia
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