Alimenti... al microscopio!, Superfood

Olio di cocco

Oggi si sente molto parlare dell’olio di cocco e delle sue proprietà, sia in ambito nutrizionale che cosmetico. Viene ottenuto dalla copra, cioè dalla polpa essiccata del frutto. A seconda della temperatura lo si può trovare in forma liquida o in forma solida: solidifica infatti facilmente a temperature di 15-20°C. Si tratta di un olio molto resistente all’ossidazione e alla polimerizzazione, è dunque molto stabile e può essere utilizzato in cucina senza il rischio della formazione di prodotti cancerogenici.
Da quello che si legge su internet, sembrerebbe un superfood, ma fa davvero bene l’olio di cocco? Ha senso introdurlo nella nostra alimentazione? Con questo articolo cercherò di riassumere quello che si sa ad oggi dalla letteratura scientifica ufficiale in merito a quest’olio dal sapore tropicale.

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Acidi grassi saturi (SFA) e Acidi grassi saturi a catena media (MCFA)

Gli acidi grassi sono delle molecole biologiche costituite da una lunga catena carboniosa con alle due estremità un gruppo carbossilico ed un gruppo metilico. Possono essere saturi o insaturi, a seconda della presenza o meno di doppi legami nella catena carboniosa. Gli acidi grassi saturi non presentano doppi legami, al contrario degli acidi grassi insaturi che possono presentare uno o più doppi legami. Alla famiglia degli acidi grassi polinsaturi appartengono i famosi omega3, noti per le loro proprietà benefiche, tra cui quella antiinfiammatoria. Un eccesso di acidi grassi saturi nell’alimentazione è di solito associato ad un aumentato rischio cardiovascolare. Questi acidi grassi in eccesso causano infatti un irrigidimento delle pareti vascolari, con una riduzione della loro elasticità, favorendo dunque ipertensione e formazione di placche ateromatose, con conseguente aumento del rischio cardiovascolare. Un alimentazione con eccessi di SFA, è stata anche correlata ad un aumento del colesterolo LDL (colesterolo “cattivo”).
Gli SFA possono essere a lunga o corta catena. Quelli a lunga catena sono responsabili degli effetti dannosi sopra citati, differentemente da quelli a corta catena, i quali al contrario, sembrano avere effetti benefici per la nostra salute.
Gli MCFA hanno infatti una via di assorbimento diversa dagli SFA. Gli SFA, dopo aver oltrepassato la barriera intestinale, vengono trasportati tramite il sistema linfatico, dove vengono incorporati nei chilomicroni che poi daranno origine alle LDL. Gli MCFA invece sono delle molecole più piccole, con una maggiore solubilità in acqua. Questo fa si che possano essere trasportati attraverso il circolo portale, dove si legano all’albumina e vengono depositati direttamente nel fegato. Qui vengono immediatamente ossidati e utilizzati per produrre energia. Inoltre questi grassi non necessitano del sistema della carnitina per il trasporto all’interno dei mitocondri (la centrale energetica delle nostre cellule) ed è il motivo per cui possono essere subito utilizzati per la produzione di energia.

Questo meccanismo sembra essere molto importante nell’aumentare la flessibilità metabolica. Molto spesso infatti si osserva un blocco del metabolismo e la difficoltà a perdere peso, nonostante si segua un regime alimentare corretto. Questo può essere dovuto all’incapacità del nostro organismo di utilizzare i grassi come substrato energetico, di mobilitarli dal tessuto adiposo e di conseguenza di favorire il dimagrimento. L’utilizzo di questi MCFA sembrerebbe stimolare le vie metaboliche deputate all’ossidazione dei grassi e quindi aiuterebbero nel migliorare la flessibilità metabolica dell’organismo.

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MCFA e Olio di Cocco

L’olio di cocco è stato per molto tempo demonizzato, a causa dell’elevato contenuto in SFA. Recentemente è stato però visto che nello specifico, contiene un’elevata quantità di MCFA, tra cui l’acido laurico. E’ importante sottolineare e differenziare l’olio di cocco dall’olio vergine di cocco. I processi di raffinazione che portano all’olio di cocco, fanno si che venga persa parte dei MCFA. Questi processi non vengono effettuati per l’ottenimento dell’olio vergine di cocco, che dunque presenta una maggiore concentrazione di MCFA, ed è dunque da preferire all’olio di cocco. L’olio di cocco vergine contiene anche una buona quantità di polifenoli, che gli conferiscono proprietà antiossidanti. Sembra inoltre avere proprietà antiinfiammatorie e anti-trombotiche.

Dunque come abbiamo detto fin’ora gli MCFA hanno un effetto davvero benefico a livello metabolico e questo potrebbe giustificare un lauto consumo degli alimenti che li contengono.
Nel caso dell’olio di cocco c’è però da fare una considerazione. Alcuni articoli esaltano il potenziale ruolo dell’olio di cocco come cibo funzionale per l’elevata presenza di MCFA. Un recente articolo (2016) pubblicato sulla rivista Nutrition Reviews invece sembra mettere un pò in discussione quanto detto. E’ noto infatti che l’MCFA più rappresentato nell’olio di cocco, è l’acido laurico. Questo acido grasso sembra avere in realtà delle proprietà intermedie, tra SFA e MCFA. E’ stato visto infatti che il 70% di questo viene metabolizzato come un SFA, venendo incamerato nei chilomicroni ed entrando dunque a far parte del metabolismo del colesterolo, e solo il 30% verrebbe invece direttamente metabolizzato a livello epatico, comportandosi quindi come un MCFA per produrre direttamente energia. L’acido laurico infatti non sembra avere le stesse proprietà di solubilità in ambiente acquoso degli altri MCFA.

Olio di cocco e salute

Gli studi presenti al momento in letteratura non sembrano fornire una risposta chiara sull’uso dell’olio di cocco e i suoi reali benefici sulla salute umana. Saranno di sicuro necessari ulteriori studi e approfondimenti per avere un’idea chiara dell’argomento. Questo vale ad esempio per la correlazione dell’uso dell’olio di cocco con il rischio cardiovascolare. Sembrerebbe che l’assunzione di olio di cocco, rispetto a quella di oli contenenti acidi grassi insaturi, aumenti maggiormente il colesterolo totale, ma non quanto il burro.
Alcuni studi hanno indagato il potenziale ruolo clinico dell’olio di cocco in una serie di condizioni patologiche. Uno studio del 2014 ha infatti correlato l’utilizzo dell’olio vergine di cocco ad un miglioramento della qualità di vita di pazienti con diagnosi di cancro al seno e della sintomatologia legata alla chemioterapia. Un altro studio ha ipotizzato un possibile ruolo dell’olio vergine di cocco nel prevenzione e nel trattamento dell’Alzhaimer, ma saranno necessari ulteriori studi per confermarlo o meno.

Consumare o non consumare l’olio di cocco?

Come in tutte le cose, la verità sta nel mezzo. Non si può certo pensare di sostituire l’olio di oliva, del quale sono noti da tempo in letteratura gli effetti protettivi a livello cardiovascolare, con l’olio di cocco. Di certo però può essere usato all’interno di una dieta bilanciata per il suo contenuto più o meno rilevante di MCFA, superiore sicuramente a quello del burro. Ha un sapore molto gradevole e può essere utilizzato al posto del burro nella preparazione di alcuni dolci; può essere anche aggiunto a frullati o succhi di frutta fatti in casa. E’ anche possibile aggiungerne qualche goccina nel caffè. Può essere molto utile all’interno di un regime dietetico chetogenico, in quanto è un alimento che favorisce la chetosi. In ogni caso è importante consumare un olio di cocco di qualità, possibilmente vergine, in quanto conterrà la più alta quantità possibile di MCFA e se ne ricaveranno maggiormente i relativi benefici.

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Bibliografia

  1. Virgin Coconut Oil and Its Potential Cardioprotective Effects. A.M. Babu et al., Postgraduate Medicine,  Volume 126, Issue 7, November 2014
  2. Coconut oil consumption and cardiovascular risk factors in humans. L. Eyes et al.,Nutrition ReviewsVR Vol. 74(4):267–280
  3. Law KS, Azman N, Omar EA, et al. The effects of virgin coconut oil (VCO) as supplementation on quality of life (QOL) among breast cancer patients. Lipids in Health and Disease. 2014;13:139. doi:10.1186/1476-511X-13-139.
  4. The role of dietary coconut for the prevention and treatment of Alzheimer’s disease: potential mechanisms of action. W. Fernando et al. British Journal of Nutrition. 2015 Jul 14;114(1):1-14. doi: 10.1017/S0007114515001452. Epub 2015 May 22.

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